Negare l’esistenza del white privilege ti rende razzista

Negare l’esistenza del white privilege ti rende razzista

Quando parliamo di privilegio, ci si può immaginare che da quel vantaggio tu possa trarre dei benefici per te stess*.
Il privilegio bianco o white privilege funziona esattamente in questo modo, con la differenza che questi benefici sono la normalità quindi chi ne trae profitto non ha la percezione del suo vantaggio.

Come ti trovi qui?

Il fatto che nessuno ti chieda da dove vieni, per te è normalità. Lo sarebbe anche per le persone Afroitaliane per esempio, con la differenza che a loro, la domanda sulle origini, la fanno. A volte solo per genuina curiosità ma nella maggior parte dei casi quella domanda ha una specifica funzione, ovvero determinare quanto tu sia effettivamente italiano.

In una conversazione da brivido, un ragazzo mi chiese se mi trovavo bene in Italia. Letteralmente, la domanda fu “Come ti trovi qui?”. Io rimasi leggermente interdetta, insomma quando sei a casa tua nessuno ti chiede se ci stai bene, in teoria. Così decisi di rivolgergli la stessa domanda, lui rimase interdetto tanto quanto me e forse per un breve momento si rese conto di quello che aveva appena detto.
Questa scena è successa milioni di volte a me e a qualsiasi altra persona BIPOC*.

*BIPOC: Black Indigenous People of Color (con BIPOC ci riferiamo a qualsiasi persona non caucasica).

Il fatto di non veder messa in discussione la propria nazionalità, è un privilegio. Chiaramente da persona bianca, non lo percepisci e questo è perfettamente normale. Viviamo immersi negli stereotipi, nei bias cognitivi e nei pregiudizi. Viviamo anche in una società in cui il razzismo è sistemico, questo significa che una persona non caucasica vivrà la discriminazione razziale in ogni ambito della sua vita.

Quale privilegio?

Qui si aggiunge un secondo livello alla narrazione, ovvero quello in cui il privilegio di una persona bianca è così radicato all’interno del tessuto sociale, che quando si parla di razzismo, l’individuo in questione tenderà a giustificarlo o a non vedere la discriminazione. Le probabilità che qualcuno decida di non affittarti una casa solo a causa del tuo cognome o del colore della tua pelle, sono estremamente basse. 

Se non sei caucasico, invece, è altamente probabile che qualcuno decida di non affittarti una casa perché il tuo cognome non sembra abbastanza italiano. È altamente probabile che se ti presenti ad un appuntamento per vedere un’appartamento, improvvisamente ti verrà detto che non è più disponibile.

A tal proposito lo youtuber Tay Vines, in collaborazione con Il Fatto Quotidiano, ha eseguito un’indagine che ha dimostrato quanto sia radicato il pregiudizio da questo punto di vista.

A questo punto (forse) qualcuno avrà pensato due cose: 

  1. Ma non tutti fanno così
  2. Eh ma anche i meridionali

Queste sono due affermazioni estremamente pericolose, non perché non siano vere ma perché tolgono rilevanza al problema principale. Un po’ come quando si parla di violenza sessuale e si alza dal coro una voce a dire: non tutti gli uomini.

Bene, il principio è sempre lo stesso. Siamo tutti d’accordo che non sono tutti razzisti ma quando parliamo di razzismo sistemico ci riferiamo a un contesto in cui il problema è anche culturale. In quanto persona caucasica, il tuo privilegio non consiste in un bonifico mensile da parte dello Stato Italiano, solo perché sei bianco.

Il tuo privilegio consiste nel fatto che ci sono cose di cui non ti dovrai mai preoccupare e di cui non ti sei mai preoccupat*. Il che pare anche abbastanza logico, non puoi porti un problema di cui non sai l’esistenza ma nel 2020 per poter parlare di razzismo in modo utile e funzionale, è fondamentale riconoscere il concetto di privilegio bianco.

Per esempio potresti dare per scontato il fatto di vedere in televisione persone con il tuo stesso colore di pelle, non ci hai mai pensato ma per le persone afroitaliane questo è un problema abbastanza ricorrente.
Siamo cresciuti senza rappresentazione e continuiamo a vivere senza rappresentazione nei media.

E poi arriva Fenty

Se utilizzi make-up, andando in un qualsiasi negozio di cura per la persona non ti verrà mai il dubbio che potresti non trovare la shade adatta al tuo colore di pelle. Forse potrebbe non esserci il colore esatto ma sei consapevole del fatto che l’industria cosmetica ti vede. Mentre per quanto riguarda le persone afroitaliane, abbiamo avuto un cambiamento quasi radicale solo quando Rihanna ha fondato il suo brand di cosmetica, Fenty Beauty, mettendo sul mercato circa cinquanta shades di fondotinta.
Quello che ha fatto Rihanna ha un’importanza fondamentale perché ha smontato una menzogna che i brand di cosmetica hanno raccontato per anni. Ovvero il fatto che fosse letteralmente impossibile fare shades per tutti, bene Rihanna ci ha dimostrato che non è assolutamente vero.

Il problema è che il mercato non ci vede come un target a cui poter fare riferimento. Da Fenty Beauty in poi c’è stato un netto cambiamento, anche se non totale, per quanto riguarda l’inclusività. In alcuni casi questo ha portato i brand a produrre molte più tonalità e vendere prodotti più inclusivi.

Cliomakeup e l’inclusività performativa

In altri casi, purtroppo, questo ha solo portato un’inclusività di facciata come abbiamo visto con i correttori del brand di Cliomakeup. Le shades erano sbilanciate e sicuramente non erano inclusive. Quando sono state chieste spiegazioni della scelta di includere così poche colorazioni per pelle scura, la risposta è stata agghiacciante.
Il brand ha dichiarato di essere stato fortemente inclusivo avendo scelto per la campagna, un uomo e una donna con il velo. Qualcuno potrebbe definirlo un gesto di attivismo performativo, quindi un atto che dovrebbe essere significativo ma nei fatti non lo è. Fare una campagna per una linea di correttori scegliendo un uomo e una donna con il velo è qualcosa di estremamente utile. Ci aiuta a modificare un certo tipo di narrazione.

Tuttavia l’inclusività deve essere concreta, non solo di facciata, non un qualcosa alla così non ci possono dire niente.

Di questa questione parlò ampiamente qualche anno fa la beauty influencer e content creator Loretta Grace. Tuttavia si trovò sommersa da migliaia di persone che la accusavano di essere invidiosa del successo di Cliomakeup. La accusarono di ricercare a tutti i costi la visibilità mediatica. Tutto questo solo per aver detto che la linea di rossetti del suo brand non era assolutamente inclusiva e dark skin friendly.

Il colpevole bianco e il colpevole nero

Un’altra situazione in cui il privilegio bianco diventa fondamentale, sono i casi di stupro. Sappiamo molto bene che la narrazione della violenza sessuale nei media italiani è fortemente problematica, per non dire misogina e sessista. Si cerca di creare un’immagine del colpevole che va sempre a giustificare o a minimizzare quello che ha fatto a meno che lo stupratore sia BIPOC.

In quel caso c’è una fortissima colpevolizzazione ma questo non perché improvvisamente concepiamo il concetto di cultura dello stupro. Guardiamo il reato con un’ottica razzista, per cui il colpevole ha violentato una ragazza perché fondamentalmente è un selvaggio che non è in grado di vivere in una società civile, essendo straniero.

Poi c’è la narrazione del “vengono a violentare le nostre donne” e lì si capisce che il problema non è la violenza sessuale ma il fatto che a compiere quell’atto sia un uomo che riteniamo inferiore per la sua etnia. Dovremmo ragionare invece sul fatto che lo stupro sia sbagliato a priori.
È un problema che riguarda tutti gli uomini a prescindere dall’etnia.

N word & Blackface

Il fatto di percepire uno slur razzista come non discriminatorio è probabilmente una delle espressioni più alte del white privilege.

Qui non mi stancherò mai di citare Irene Facheris quando dice che se non si fa parte della categoria discriminata, non si può decidere che cosa sia offensivo o meno (per quella categoria). Motivo per cui il tuo non percepire la n word come una parola offensiva per le persone nere, è totalmente irrilevante. Quel termine non verrà mai utilizzato per denigrarti è quindi abbastanza logico arrivare alla conclusione che non si può decidere per gli altri.

Possiamo fare lo stesso ragionamento per la blackface: quella caricatura stereotipata non riguarda le persone bianche ragion per cui è facile capire che definirla una forma d’arte, è qualcosa che puoi fare perché vivi immers* nel privilegio bianco. Non ti senti toccato da quella discriminazione e di conseguenza non la percepisci come tale, non ci riusciresti neanche se provassi ad immedesimarti nei panni di una persona non caucasica.

Per cui se ti viene detto che qualcosa è razzista, l’ultima frase che dovresti dire è: “Ma se fossi ner* non mi offenderei”.

La combinazione perfetta

Se sei donna vivrai già immersa nelle discriminazioni ma quando sei donna e nera la difficoltà aumenta, come in un videogioco.

Il tuo privilegio di donna bianca sta nel fatto che nessuno ti dirà mai che ti considera bella, nonostante il tuo colore di pelle. Questo succede perché l’immaginario di queste persone, riesce a concepire solo un tipo di bellezza, ovvero quella caucasica e per puro caso tu donna nera, che tecnicamente non potresti essere attraente, ti trovi ad esserlo. Potrai essere sessualizzata in quanto donna ma il livello di feticizzazione salirà esponenzialmente se sei nera.

La feticizzazione poi, riguarda entrambi i generi, non solo le donne nere ed è figlia diretta del periodo colonialista.

Cosa si può fare?

Non è tutto perduto, ci sono delle soluzioni a tutto ciò.

La prima è riconoscere l’esistenza del white privilege. La seconda è capire che fa parte di ogni persona caucasica, è vero non l’hai scelto ma questo non significa che tu non ne tragga beneficio da sempre, in modo consapevole e inconsapevole.
Bisogna ascoltare le minoranze, se ti dicono che qualcosa è razzista, credigli perché il tuo privilegio ti impedirà in tutti i modi di vedere chiaramente quella discriminazione, è un allenamento.

Se sei BIPOC ci nasci e sei costretto ad allenarti per riconoscere il razzismo appena si presenta.
Se sei caucasic* hai il privilegio di non doverlo vivere sulla tua pelle ma di poterlo riconoscere solo attraverso le esperienze delle minoranze e se non è questo un privilegio, allora non so cos’è.

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