In Italia le minoranze etniche vengono raccontate solo attraverso due lenti d’ingrandimento e tra feticizzazione e demonizzazione, entrambe sono fortemente razziste.
Facciamo davvero fatica ad accettare l’idea che, per parlare di razzismo, sia necessario ascoltare anche (e soprattutto) le minoranze BIPOC. Questo succede perché in Italia manca del tutto la rappresentazione.
Un solo immaginario collettivo
Quando non c’è rappresentazione, ogni discussione sul razzismo nei mezzi di comunicazione di massa, perde una componente fondamentale. Togliamo rilevanza all’esperienza di chi vive quel tipo di situazione ogni giorno. Basta pensare a tutte le volte in cui una persona non caucasica, compie un reato. Nei mass media italiani avremo un solo tipo di narrazione, ovvero il clandestino venuto a delinquere nel Belpaese. Un italiano (caucasico) che compie lo stesso reato verrà raccontato in modo totalmente diverso. Questo succede anche a causa della feroce propaganda di alcuni partiti politici che, in mancanza di un serio programma politico, spingono una retorica razzista e xenofoba. Questo danneggia fortemente l’immagine delle minoranze BIPOC. Si crea una percezione della realtà completamente falsata.
Se la persona BIPOC compie un atto di gentilezza, la situazione cambia. In quel momento inizia una narrazione diversa, perdiamo la connotazione negativa e se lo stesso gesto eseguito da un italiano caucasico non ha nessuna rilevanza, ecco che se lo fa Il Senegalese, improvvisamente ci riscopriamo tutti più umani. Il ragazzo è chiaramente più portato a delinquere ma non lo fa, il che desta stupore e compassione. Qui entra in gioco anche la componente white savior, per cui veniamo premiati quando ci comportiamo come individui con una bussola morale. È una notizia nel momento in cui la narrazione di base dipinge le minoranze BIPOC sempre in modo negativo.
Se la società non ci vedesse sempre attraverso stereotipi e luoghi comuni razzisti, questi gesti non costituirebbero una notizia.
Rappresentazione in televisione
I talk show affrontano il razzismo in modo superficiale e distratto, un esempio che calza perfettamente è Live – Non è la d’Urso. Quando scoppia uno scandalo a sfondo razziale si crea un sipario di 10 minuti in cui si affronta la questione come se fosse solo l’ennesimo scoop. La tematica non viene approfondita, non si fanno delle riflessioni. Lo spettatore da quei 10 minuti non trae qualcosa di utile, se non qualche risata per le battute (spesso inopportune) dei soliti ospiti.
Parlando di ospiti, la conversazione rimane sterile per la maggior parte del tempo e il pubblico non prenderà seriamente nessuna delle due fazioni. L’argomento si affronta come se fosse l’ennesima polemica sterile, del tipo “the alla pesca o the al limone?” e così allo stesso modo una tematica seria e delicata si trova allo stesso livello di questioni da cronaca rosa.
I quattro uomini bianchi
Anche in programmi ritenuti più autorevoli, potrà cambiare il contesto ma la narrazione è sempre la stessa. Qui ritroviamo i quattro uomini bianchi (nella maggior parte dei casi etero e cisgender ovviamente) che parlano di razzismo, pur non avendo nessuna competenza per farlo. I conduttori non invitano persone BIPOC o Afroitalian* competenti in materia, anche se esistono. Esistono ma non trovano lo spazio necessario per formare e creare una nuova rappresentazione delle persone BIPOC in Italia. Potremmo cambiare la narrazione ma non lo facciamo.
La Gatta Nera e la feticizzazione dei corpi BIPOC
Le persone non caucasiche in italia hanno principalmente due funzioni nei media: capri espiatori o oggetti sessuali. Per anni nell’immaginario collettivo, ci hanno fornito una sola immagine della donna nera: la Gatta Nera de Il Mercante in Fiera. Questo significa che prima del programma le donne nere non venivano feticizzate? Assolutamente no. La feticizzazione dei corpi neri comincia secoli prima ma è bastato un programma televisivo per fissare ancora di più nella nostra mente una sola narrazione della donna nera. Una creatura esotica, sensuale, che non si esprime ed esiste semplicemente per lo sguardo dell’uomo caucasico.
Questa rappresentazione va ad incrinarsi con Cécile Kyenge, ex ministra per l’integrazione del governo Letta. Una donna competente, capace ed intelligente che si allontana di molto dall’immagine di donna nera a cui eravamo abituati. Anche per questo motivo viene presa di mira ed insultata, non si tratta solo di sessismo. Se già si faticava ad accettare l’idea di una donna in una posizione di potere, il fatto che non sia caucasica, costituisce un trigger warning per il razzista medio.
Gli uomini BIPOC, pur essendo sempre in una condizione di privilegio rispetto alle donne BIPOC, non se la cavano molto meglio quando si parla di feticizzazione. Verranno sessualizzati e oggettificati secondo i soliti stereotipi che tutti conosciamo. Non si tratta di apprezzare la bellezza, come direbbero gli antirazzisti wannabe ma di feticizzare etnie non caucasiche e questo non ha niente a che vedere con l’estetica. Si tratta, piuttosto, di razzismo in una delle sue forme più pure.
E comunque..
Come dice Giulia Blasi, le donne non possono essere chiamate in causa solo quando si parla di femminismo o di questioni “femminili”. Allo stesso modo le minoranze BIPOC non possono essere chiamate in causa (le poche volte in cui succede) solo quando si parla di razzismo. Come se potessimo effettivamente parlare solo di quella tematica e non avessimo competenze su altro. La nostra esperienza con il razzismo influisce sul nostro background e sul modo in cui percepiamo il mondo ma non ci definisce come persone.
Ad ogni modo più rappresentazione significa anche normalizzare il fatto che ci siano italiani non caucasici. Significa creare un nuovo immaginario collettivo e mai come ora, abbiamo bisogno di contribuire a formare una narrazione diversa delle persone BIPOC.
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