Nel suo saggio dal titolo “Men Explain Things to Me” (in italiano “Gli uomini mi spiegano le cose”, pubblicato per la prima volta nel 2008) la scrittrice e attivista femminista Rebecca Solnit sviluppa una serie di riflessioni sulle dinamiche che molto spesso emergono nelle conversazioni tra uomini e donne.
Solnit racconta in maniera sarcastica di svariate chiacchierate in cui gli uomini si sono posti in maniera saccente e paternalistica nei suoi confronti, spiegandole cose ovvie anche riguardo argomenti di cui lei stessa è esperta.
L’episodio più iconico è il primo ad essere raccontato: Solnit e un’amica stanno per lasciare una festa, quando il proprietario di casa si avvicina per intrattenerle. L’autrice inizia a parlargli dell’ultimo libro da lei pubblicato, contenente la parola “Muybridge” nel titolo.
L’uomo la interrompe subito per discutere di un libro uscito da poco con un titolo simile a quello scritto da lei e recensito anche dal New York Times. A detta sua, è uno dei testi migliori sull’argomento analizzato nel testo di Solnit stessa.
L’autrice deve ripetergli più volte che stanno parlando dello stesso libro, quello scritto da lei, prima che l’uomo smetta di parlare e se ne vada senza scusarsi.
Come è nato esattamente il termine “mansplaining” e cosa indica?
Poco dopo la pubblicazione di “Men Explain Things to Me” nel 2008, viene creata una piattaforma online con il nome di Academic Men Explain Things to Me.
Approfittando di questo spazio, centinaia di donne e studentesse universitarie statunitensi lasciano in pochi mesi le proprie testimonianze riguardo episodi accaduti a loro e simili a quello riportato da Solnit.
E’ attraverso la raccolta di così tante voci femminili, disposte a raccontare esperienze particolari dalle dinamiche simili, che nasce il termine mansplaining.
Si inizia, quindi, ad analizzare l’atteggiamento presuntuoso e di eccessiva confidenza che gli uomini talvolta mostrano quando si rivolgono ad una donna da un punto di vista nuovo.
Il mansplaining può essere considerato come un effetto della socializzazione maschile e femminile, cioè il processo attraverso cui gli individui apprendono le capacità, gli atteggiamenti e i comportamenti relativi ai ruoli sociali e di genere durante l’infanzia (Goslin, 1969).
E’ attraverso la socializzazione maschile, infatti, che ai potenziali futuri mansplainer viene trasmessa la convinzione che sia un loro diritto quello di guadagnare spazio.
Questo accade non solo nelle conversazioni casuali, ma anche nelle relazioni interpersonali, in ambienti fisici o virtuali. I bambini imparano a “comportarsi da uomo” interiorizzando la convinzione di poter sempre alzare la propria voce per far valere la propria posizione.
Le bambine, invece, crescono in un ambiente che insegna loro ad essere eccessivamente educate e cortesi, a cedere spazio per occuparne il meno possibile, a tenere la voce bassa per non attirare troppo l’attenzione su di sé.
Togliere spazio, togliere voce
Uno dei primi studi a prendere in esame la prevaricazione maschile nelle conversazioni uomo-donna è lo studio Sex roles, interruptions and silences in conversation (Zimermann e West, University of California, 1975).
Tale studio fa parte delle 43 ricerche mirate a definire in dettaglio gli aspetti più frequenti nei dialoghi di questo tipo, pubblicata nel 1998 da Anderson e Leaper.
Zimermann e West considerano frammenti di 11 conversazioni uomo-donna tratte da contesti diversi, contando le interruzioni e le prevaricazioni di un soggetto sull’altro durante queste ultime.
Dall’analisi emergono 46 interruzioni da parte degli interlocutori uomini (il 96% del totale) e 2 da parte delle donne, 9 momenti di prevaricazione maschile sulla voce femminile e zero di prevaricazioni da parte delle 11 donne.
Conducendo lo stesso esperimento con 20 conversazioni uomo-uomo, i risultati che emergono sono diversi:
le interruzioni da parte di uno dei due soggetti sono solo 3, molto ridotte anche le prevaricazioni.
Ad oggi, sono disponibili molte altre analisi sul fenomeno, come quella svolta dalla Brigham Young University nel 2012.
Secondo i risultati di quest’ultima, gli interventi maschili nelle riunioni di lavoro osservate occupavano il 75% del tempo a disposizione per la discussione di tematiche e progetti riguardanti tutto il team.
Infine, è interessante anche lo studio condotto nel 2004 sulle classi dell’Harvard Law School, da cui è emerso che gli studenti del campione preso in analisi erano del 50% più propensi a fare un intervento a lezione rispetto alle compagne, e del 144% più orientati a prendere parola, almeno tre volte in un’ora rispetto alle studentesse.
Il mansplaining come strumento di difesa dei privilegi maschili
La dinamica del mansplaining emerge spesso quando si affrontano tematiche che coinvolgono anche gli uomini, ma su cui non sta loro esprimersi.
In questo caso, il mansplaining può essere considerato uno strumento frequentemente utilizzato da uomini che non hanno intenzione di intaccare la propria posizione di privilegio mettendosi in discussione.
Se si parla di molestie, cultura dello stupro, standard di bellezza femminili, diritto all’aborto, detassazione degli assorbenti, gender pay gap e mercificazione del corpo femminile, la voce che deve emergere è quella delle donne e delle persone trans*.
Questo perchè statisticamente sono le donne e le persone trans* ad avere a che fare quotidianamente con queste problematiche: sono loro che le subiscono.
Ogni tentativo da parte di un uomo (specialmente se etero e cisgender, cioè sul gradino più alto della scala dei privilegi) di smorzare o sovrastare la voce delle vittime quando queste decidono di denunciare quello che significa essere sé stesse nel mondo che le ospita, non è solo mansplaining.
Ciò è anche la risposta perfetta per evitare ogni tipo di analisi più ampia del problema e mantenere lo status quo che permette agli uomini di viaggiare in prima classe a livello sociale, politico ed economico.
Il mansplaining in questi casi si presenta in varie forme, ed è importante riconoscerle:
“In quanto uomo che non ha mai subìto molestie in un luogo pubblico, so cosa avresti potuto fare per evitare tutte quelle che hai subito tu”.
“Se hai subìto uno stupro come dici, probabilmente te la sei cercata e ti è pure piaciuto, altrimenti avresti detto di no”.
“Non ho un utero, però voglio che mi ascolti mentre ti dico cosa dovresti fare con il tuo”.
“Ci sono problemi più urgenti da risolvere che abbassare l’IVA sugli assorbenti”.
“Non tutti gli uomini sono molestatori, non tutti stuprano, non si deve generalizzare”.
“Not all men”: le parole magiche della deresponsabilizzazione maschile
Lo slogan “Not all men” è probabilmente il più ridondante e fastidioso esempio di mansplaining come atteggiamento-strumento per mantenere il privilegio maschile.
Ripetere a macchinetta che non tutti gli uomini molestano, stuprano e uccidono nel momento in cui viene denunciato una di queste tre forme di violenza, non è solo irrispettoso nei confronti della vittima: è un modo per sminuire il problema e l’accaduto.
Con questa reazione maschile si invita al silenzio chi sta parlando, si occupa uno spazio riservato esclusivamente a chi ha subìto violenza.
Sappiamo che non tutti gli uomini sono violenti, ma se da uomo questa è l’unica cosa che riesci a dire di fronte ad un episodio di misoginia, fai parte del problema.
E’ vero che non tutti gli uomini molestano, stuprano e uccidono, ma se senti il bisogno di ricordarlo quando si parla di chi molesta, stupra e uccide per auto-includerti nel gruppo di “quelli che non farebbero mai certe cose” pensando di aver risolto la faccenda, sei parte del problema.
Sapiamo che anche una porzione ridotta di uomini subisce stupri e violenza domestica, ma se hai l’urgenza di ribadirlo sempre e solo quando si parla di violenza sulle donne, sei parte del problema.
Non abbiamo bisogno che gli uomini ci spieghino la nostra oppressione all’interno di questo sistema e come dovremmo lottare per segnarne la fine: è da due secoli e mezzo che ne parliamo noi.
Non ha rilevanza sapere per cosa siamo esagerate secondo loro e quanto si sentano attaccati quando parliamo di una cultura che gli assegna tutti i privilegi che noi non conosciamo.
Abbiamo bisogno di uomini che, per una volta, siano disposti a fare silenzio e non imporlo a noi, per iniziare finalmente ad ascoltarci. E non essere più parte del problema.
Fonti
- Gli uomini mi spiegano le cose (Rebecca Solnit, edito da Ponte alle Grazie, 2014)
- Sex roles, interruptions and silences in conversation (Zimermann e West, University of California, 1975) https://web.stanford.edu/~eckert/PDF/zimmermanwest1975.pdf
- Brigham Young University study (2012) https://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-2205502/The-great-gender-debate-Men-dominate-75-conversation-conference-meetings-study-suggests.html
- Harvard Law School analysis (2004) https://www.thecrimson.com/article/2013/5/8/law-school-gender-classroom/
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