Il cosplay è sicuramente un hobby interessante e divertente, nonché uno dei pilastri del mondo nerd. Nonostante ciò, purtroppo, non è esente da piaghe patriarcali quali la cultura dello stupro, il sessismo e lo slut shaming.
La parola cosplay è la fusione dei termini inglesi costume e play, indica l’attività di indossare costumi dei personaggi della cultura pop e interpretarli all’interno di raduni, convention ed eventi appositi quali set fotografici o competizioni, nazionali e internazionali.
Nato come un hobby di nicchia, il fenomeno si è allargato a dismisura e oggi sono centinaia di migliaia le persone che in tutto il mondo hanno trovato nel cosplay un modo per esprimere la propria creatività, arrivando in alcuni casi anche a farne una professione. Per molti, questa community è stato un rifugio dal bullismo e dall’emarginazione che da sempre i nerd subiscono a scuola o sul posto di lavoro, per altri è stato un veicolo per venire allo scoperto e parlare apertamente del proprio orientamento sessuale o identità di genere.
In generale, ci troviamo di fronte a di un’autentica sottocultura internazionale, con i suoi rituali e le sue specificità, un ambiente che ha fatto dell’inclusività la sua bandiera e in cui ognuno può sentirsi libero di essere se stesso. Non a caso, uno degli slogan in cui migliaia di cosplayer si identificano è: “Cosplay is for everyone”, il cosplay è per tutti. Tuttavia, nemmeno questo mondo così meraviglioso è privo di lati negativi.
Cosplay ed erotismo: un binomio sempre vero?
Una delle faide più violente riguarda l’aspetto erotico che, fin dagli albori, ha sempre fatto parte del cosplay. In Giappone, l’idea di abbinarlo alla sfera sessuale esisteva già dagli anni Novanta, quando i sexy shop del Sol Levante iniziarono a vendere costumi ispirati ai personaggi dei manga e degli anime.
Del team italiano che nel 2005 vinse il World Cosplay Summit, il campionato del mondo, faceva parte anche Francesca Dani: una delle prime cosplayer ad aprire un sito a pagamento in cui pubblicare i suoi scatti più sensuali. Ultimamente, grazie all’avvento di piattaforme come Patreon e OnlyFans, che permettono agli artisti di condividere contenuti dietro compenso mensile, sono sempre di più gli appassionati che si dedicano a creare versione sexy dei propri beniamini, dando vita a una vera e propria categoria di professionisti del cosplay erotico, caratterizzata da una schiacciante maggioranza femminile.
Cosplay: tossicità e sessismo
Purtroppo, queste ragazze si ritrovano a essere bersagliate da un costante cyberbullismo di stampo sessista, vittime di insulti e mortificazioni quali “zoccola” o “cagna”, sia da parte di altri appassionati di cosplay che di persone che seguono l’ambiente. In inglese, questo tipo di atteggiamento si definisce “slut shaming”, da slut (puttana) e il verbo to shame (umiliare) ed è tristemente diffuso nel cosplay.
E’ di pochi giorni fa l’ennesima polemica scatenata da un post su Facebook, che ha rapidamente fatto il giro del web. Nel post una cosplayer intimava letteralmente di “smettere di fare le troie su OnlyFans”. Il putiferio che ne è scaturito ha acceso una feroce discussione, con alcune persone intervenute in difesa del diritto di ciascuno di noi di fare ciò che vuole col proprio corpo, ma altrettante pronte a rincarare la dose a suon di attacchi profondamente misogini.
La persecuzione, inoltre, non si limita certo al mondo virtuale: tristemente celebre è infatti un episodio avvenuto durante il Lucca Comics & Games: un ragazzo ha pensato che fosse divertente travestirsi da confezione di croccantini per cani e andarsene in giro per la città a tirarli addosso a qualsiasi donna indossasse un costume da lui giudicato troppo scoperto.
Questo ci porta a evidenziare come a subire lo slut shaming non sia soltanto chi crea versioni sexy nei propri cosplay, ma anche chi sceglie di interpretare personaggi con outfit giudicati troppo succinti, a prescindere dal loro essere accurati o meno rispetto al design originale.
La cultura dello stupro e lo slut shaming alle fiere in cosplay
Prima di proseguire, occorre affrontare brevemente il discorso del genere. Infatti, sebbene la stragrande maggioranza delle vittime ci questi comportamenti sia composta da donne, fra loro si annoverano anche persone non binarie, transgender e quei maschi che decidono di vestire i panni di personaggi femminili. E’ importante sottolineare come, in questi casi, spesso e volentieri l’insulto si tinga di sfumature omofobe.
Ma qual è il motivo di tanto astio? L’accusa più in voga tra gli haters è quella di infangare la purezza del cosplay con il soft-porn, di sessualizzare qualcosa che non è nato per essere erotico. Secondo alcuni, chi fa versioni sexy di personaggi della cultura pop non dovrebbe avere il diritto di chiamarsi cosplayer. Addirittura, c’è chi imputa alle cosiddette Patreon Girls la presenza di molestatori alle fiere del fumetto. Una logica di colpevolizzazione delle vittime agghiacciante, se si pensa che avviene in un ambiente estremamente inclusivo come quello del cosplay. Se ci si ferma un istante a ragionare, non è molto diverso dal chiedere a una donna che abbia subito violenza: “Com’eri vestita?”
Una retorica profondamente misogina che non ha alcun riscontro nella realtà, visto che i casi di molestie all’interno delle fiere del fumetto esistono anch’essi fin dall’inizio del fenomeno e colpiscono indiscriminatamente le cosplayer, indipendentemente dal costume che scelgono di indossare.
La reazione del mondo cosplay allo slut shaming
Per affrontare il problema, al New York Comicon è stata lanciata l’iniziativa “Cosplay is not consent” (il cosplay non è consenso), una campagna di sensibilizzazione per il rispetto dello spazio personale e del corpo dei cosplayer di qualsiasi genere all’interno degli eventi.
Lo slogan si è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo, contribuendo a informare i visitatori delle fiere e i cosplayer stessi. Purtroppo, non è bastato a impedire ad alcune persone di continuare a dare la colpa alle ragazze, ree di sessualizzare i personaggi, piuttosto che agli uomini che le feticizzano, riempiendole di commenti sgraditi e arrivando ad allungare mani e fotocamere.
In conclusione, l’unica soluzione è continuare a parlarne, difendere chi viene attaccato per il solo “crimine” di aver mostrato qualche centimetro in più di pelle e sostenere il sacrosanto di diritto di qualsiasi persona maggiorenne di fare ciò che più desidera con il proprio corpo. Compreso indossare costumi succinti e versioni in lingerie dei personaggi della cultura pop.
[Copertina: Daisy Cosplay]
[kofi]
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